Non sono uno scalatore professionista, di quelli che si arrampicano sulle vette più maestose sempre con l’attrezzatura giusta e con il rampino all’ultima moda. Mi arrampico così come sono a cappello, non a gonna o a tacco. Ma ho sempre avuto un rapporto stupendo con tutte le montagne che hanno deciso di ospitare il mio animo eremitico, io adoro la montagna, almeno da quando avevo 11 anni.

Nel febbraio del 2007 ho visto per la prima volta nella zona di Castiglione Sempione Melchiorre una parete che mi ha colpito subito: tutta piena di punte, con delle guglie demoniache e degli anfratti languidi che talvolta si affacciano sul nulla, altre volte sembra invece che stiano per dire qualcosa sfruttando il vento che spira tra i radi cespugli che vi si inerpicano. La parete è completamente verticale e gli appigli fino ad una certa altezza non mancano; una modesta cascata ne incornicia un lato e sebbene la sommità sembri malsicura la base da l’idea di una fortezza solida e robusta. Le piccole gole sinuose che si scorgono dal punto di salita sembrano nascondere dei giacigli comodi e accoglienti che nonostante la percettibile umidità manifestano il desiderio di vegliare sul tuo riposo di fine arrampicata.

Durante la salita raramente si perde la presa, anche perchè ci si deve stringere, se si cade da una roccia come questa si cade di testa e comunque su delle punte acuminate che non hanno mai fatto la pace con le ossa del tuo cranio. Quando ho visto la roccia per la prima volta ho provato la presa, con tutte e due le mani, e subito mi ci sono seduto sotto affascinato. Mi sono prima adagiato su un fianco, poi appoggiandomi di spalle, senza nemmeno guardarla tentavo di immaginare come sarebbe stato scalarla, e il naufragar m’era dolce in questo oceano verticale.

Da qualche tempo sono riuscito ad avere più possibilità per provare l’impresa, il tempo è migliorato, il vento non è stato mai eccessivamente forte, e le occasioni per fare una scampagnata da solo e andare a visitare il posto non sono mancate. Ma non c’è niente da fare, sembra che a metà scalata la roccia si rifiuti di lasciarmi proseguire, sembra che spinga addirittura per farmi sbalzare nel vuoto. Qualche settimana fa ho deciso il tutto per tutto e ho cercato di scalare la montagna fino alla sua cima. Niente da fare! Arrivato a un terzo della scalata non sapevo più dove aggrapparmi e la roccia rendeva lisci e inafferrabili tutti i piccoli appigli che rimanevano.

Alcuni comprendono le mie irrazionali pulsioni e la mia insistenza, i più mi dicono che è stupido accanirsi in un’impresa impossibile e che poi risulterà vana perchè una roccia come quella dall’alto non ha niente da mostrare. C’è anche chi dopo aver visto il paesaggio mi ha detto che ero un idiota a volermi arrampicare sul Pizzo del Diavolo quando avevo le Torri di Roda a portata di mano e così ho deciso di non passare un altra notte a valle e ho scalato il massiccio più prossimo. Il suo aspetto è peraltro imponente, la giogaia è più alta, meno pericolosa e apparentemente perfetta per quanto riguarda i miei gusti di scalatore.

E’ stato facile conquistare la vetta sebbene abbia dovuto fermarmi in continuazione non conoscendo per niente la parete. Arrivato in cima è stato bellissimo, un panorama da favola, ho pensato più volte che era da stupidi non rendersi conto della possibilità di affrontare una salita così fantastica. Ma anche dall’alto mi giravo in continuazione là dove la parete che volevo fare mia nascondeva un pezzo di orizzonte che io ancora non sono riuscito a vedere, e allora mi viene voglia di scendere, e questo non lo sopporto.